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È il conduttore, perché gli venga riconosciuto il diritto all’indennità di avviamento nel caso di cessazione del contratto di locazione, a dover dimostrare che l’immobile sia stato dato in locazione per un’attività rivolta al pubblico, come nel caso dell’intermediazione immobiliare.
Lo sancisce la Cassazione con la sentenza 17102/14, depositata oggi dalla terza sezione civile. La Corte di legittimità respinge il ricorso di un’agenzia immobiliare contro la decisione della Corte di appello di Milano. La società, in qualità di conduttore, chiedeva al locatore il pagamento dell’indennità per la perdita dell’avviamento, a seguito di cessazione del contratto di locazione, relativo a un immobile. A giudizio della Corte territoriale, la società non aveva provato che lo stabile fosse «aperto a un pubblico indistinto» di utenti e consumatori. La ricorrente depositava gli atti al Palazzaccio, ma invano, perché la Cassazione rigetta la sua istanza.

Il contratto pevedeva genericamente un «uso esclusivo di uffici commerciali». La Corte milanese, a giudizio degli “ermellini”, ha applicato correttamente il principio secondo cui «in tema di locazione di immobili urbani adibiti a un uso diverso da quello di abitazione, la destinazione dell’immobile all’esercizio dell’attività commerciale, in tanto può determinare l’esistenza del diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento, in quanto il conduttore istante provi che il locale possa essere considerato come luogo aperto alla frequentazione diretta della generalità dei consumatori e, dunque, da sé solo in grado di esercitare un richiamo su tale generalità, così divenendo un collettore di clientela e un fattore locale di avviamento». Ciò vale anche nel caso in cui l’immobile sia stato dato in locazione per essere destinato ad un’attività che comporta un contatto diretto con il pubblico, come quella d’intermediazione immobiliare, «ma la spettanza del diritto all’indennità è subordinata alla prova che l’attività sia rivolta a soddisfare le esigenze non di singoli soggetti direttamente contattati o di singoli altri operatori economici, ma della indistinta generalità degli interessati».

La Cassazione richiama il quadro giurisprudenziale di riferimento che prevede sì un onere probatorio a carico del locatore, ma «per la sola ipotesi in cui sia la stessa destinazione contrattualmente prevista a comportare necessariamente l’esistenza dei contatti, facendo salvo il generale onere probatorio a carico del conduttore quando l’attività prevista si presti sia ad avere che a non avere rapporti diretti con la platea indifferenziata degli utenti». Per questi motivi, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna la società a pagare le spese di giudizio

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